Storia

Torrenova si trova nel territorio di Torchiagina e costeggia il fiume Chiascio, detto anche Chiagio e in latino Clasius-Clasina, ed è stato luogo di insediamenti preistorici, come attestano numerosi ritrovamenti di manufatti conservati e visibili a Perugia, nel Museo archeologico nazionale dell’Umbria, che partendo dal Paleolitico conducono alla romanità, passando per Umbri ed Etruschi.

Il Chiascio faceva parte di una serie di fiumi navigabili, o meglio di viae aquae, presenti in Umbria, come il Tevere e il Clitunno, che consentivano sia comunicazione che commercio, con il trasporto di legname, di derrate alimentari e di animali. Sulla riva destra di questo fiume, tra Perugia e Assisi, troviamo, immersa nel verde di un grande parco, l’antica Torre Chiascina.Le sue origini si perdono nell’Alto Medioevo, prima dell’anno Mille e a causa delle tormentate vicende belliche subite nel corso dei secoli, è stata sottoposta a più distruzioni e ricostruzioni fino ad assumere, tra il 1300 e il 1400, l’attuale fisionomia.

Reperti archeologici presenti al Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria, Perugia.

Le Origini

Il nome del paese di Tor-Chiagina, compare la prima volta negli Annali Decemvirali del 1521; prima di allora il paese era chiamato semplicemente Chiagina o Clasina, come già compare in un atto notarile del 980 d.C.

I reperti archeologici venuti alla luce in zona: un sarcofago, attualmente conservato nel Museo Romano di Assisi; frammenti di colonne, di mosaici, capitelli e urne funerarie, ci rimandano ad un insediamento umbro-romano del III secolo a.C.

L’insediamento doveva essere di una certa importanza dato che sono emerse tracce della presenza di un tempio pagano.

Clasina era un piccolo borgo medievale sorto accanto alle rovine di un antico villaggio umbro-romano detto il “Casalino”, che ancora sopravvive nel nome di una strada vicinale dell’attuale Torchiagina e in un terreno detto “del casalino” dove ancora oggi, arando il terreno, emergono cocci e pietrame antichi.

Sul luogo sono succeduti tre diversi insediamenti:

– il Casalino in epoca romana, l’ultima citazione di questo toponimo la troviamo in un documento del 1160, nel quale Federico I Barbarossa indicò la Chiesa del Casalino (San Fortunato) come termine di confine tra i Comuni di Perugia e di Assisi,

– la Clasina in epoca medievale,

– Torchiagina in epoca moderna.

La Torre

Dopo la caduta dell’impero Romano nel 476 d.C., le frequenti invasioni e devastazioni hanno portato ad una forte recessione economica e produttiva del territorio umbro; i villaggi e le campagne si spopolarono e le vaste aree agricole, abbandonate, tornarono ad essere incolte.

Le popolazioni tendevano a trasferirsi in luoghi più difendibili: i semplici insediamenti chiamati villae, fundi, curtes, venivano ampliati e trasformati in castelli o in borghi fortificati, oppure in semplici torri di guardia con una ridotta guarnigione di sentinelle.

Anche gli invasori germanici, specialmente i Franchi e i Longobardi preferivano vivere fuori dalle città in vici, curtes, castelli, considerando la città e il castrum come sede amministrativa e luogo di rifugio e difesa.

In questo contesto anche l’antico villaggio umbro-romano, il Casalino, andò in rovina, ma i superstiti non abbandonarono completamente il luogo, nonostante fosse privo di difese naturali e ricostruiscono, nel tempo, le loro abitazioni sempre lungo il fiume, leggermente più a nord rispetto ai confini delle proprietà dell’attuale Torre.

Questa prese vita come torre di difesa, a protezione dell’attività produttiva di un grande fondo agricolo dove, sfruttando l’energia idrica del fiume, venivano trasformati, a livello industriale, diversi prodotti della terra come olive, cereali e uva, ma dove avveniva anche la lavorazione di tessuti (gualchiera e tintoria) utilizzando un colorante naturale, estratto dalla pianta del guado. Possiamo immaginare questo luogo in piena attività, quando, oltre le gualchiere, erano in azione anche la

macina da guado e le mole per il frantoio dell’olio e dei cereali; alcuni pezzi di questi macchinari sono ancora oggi conservati, nonostante la distruzione del mulino e delle sue canalizzazioni idrauliche.

Nel Medioevo il Casalino si sposta progressivamente, lungo il Chiascio nei pressi della Torre, in mezzo alle terre bonificate e dissodate dai coloni dei benedettini di Santa Maria di Valfabbrica e di San Pietro di Perugia e incomincia ad essere indicato con il nome di Clasina. I terreni circostanti erano rinomati per la loro fertilità e molte nobili famiglie come quella di Muzio di Francesco e di Offreduccio Scifi, nonno di Santa Chiara, ed enti, come l’Abbazia di San Pietro di Perugia e la Chiesa di San Ruffino di Assisi, possedevano qui terreni e proprietà. Una pergamena del 980 d.C., conservata nell’archivio della Cattedrale di Assisi getta un raggio di luce nell’oscurità di questo periodo.

È un contratto di matrimonio, stilato secondo la legge dei Longobardi da un notaio di Assisi nell’ottobre del 980, tra il Signor Stefano di fu Aforo, signore di Clasina, e Adelberga, figlia di Lotario di Assisi.

Il documento chiamato Morgengabe (dono del mattino) si rifaceva all’usanza presso i Longobardi di poter ripudiare la sposa dopo la prima notte di matrimonio se non fosse stata trovata vergine, ovvero la mancata verginità poteva essere usata a pretesto per impugnare in qualsiasi momento la validità del matrimonio.

Introdotto nel 714, questo istituto giuridico, anche detto Moricaput, prevedeva un dono della quarta parte dei propri beni presenti e futuri che lo sposo doveva dare alla sposa qualora l’avesse trovata vergine nella prima notte di matrimonio. La consistenza del dono doveva essere dichiarata pubblicamente davanti amici e parenti il giorno dopo il matrimonio e registrato con atto notarile. Nel Morincaput del 980 sembra che Stefano, lo sposo, dimorasse in Clasina e fosse il Signorotto di quel luogo. 

È certo che verso la fine dell’anno Mille vivevano nella zona feudatari di origine longobarda, che avevano mantenuto le loro tradizioni e si rifacevano alle loro leggi come la “lex longobardorum”.

Stefano era molto probabilmente un signorotto longobardo proprietario dell’insediamento rurale sul Chiascio in Clasina presumibilmente fortificato, sia perché località di confine pertanto sempre molto contesa sia per la difesa della attività produttiva che vi veniva esercitata.

In seguito, da mulino fortificato, la torre diventa anche torre di guardia su di un territorio sempre molto conteso: prima tra Longobardi e Bizantini, poi tra il Ducato di Spoleto e l’Esarcato bizantino, con il fiume Chiascio che ne diventa il naturale confine.

Circa nel 1160, il popolo del comune di Assisi insorgerà contro questi feudatari longobardi.

Ulteriori notizie, riguardo a questo periodo, si possono ricavare dagli scavi eseguiti in occasione del restauro per il consolidamento strutturale della Torre e della relativa corte.

Al tempo di San Francesco, dopo le lotte tra i nobili (“boni homines”) e il popolo (“homines populi”) di Assisi, si ha l’affrancamento dei servi della gleba e la Clasina ha modo di svilupparsi diventando una delle 51 Balie del contado di Assisi, tanto che, nel 1232, è composta da 31 focolari (nuclei familiari) con circa 200 persone.

Nel 1254 inizia l’influenza della Famiglia dei Brancaleoni di Piobbico su molte città dell’Umbria e ad Assisi si insedia Ser Francesco della Carda dei Brancaleoni, uomo d’armi e abile militare, che in virtù dei suoi servigi riesce ad ottenere terre e palazzi tra cui quello di Clasina, che nel 1383 troviamo citato come Palazzo Fortilizio in Baylia Clasina e nel 1485 come Turrim Clasine, nel 1519 come Oppidum Chiagina e nel 1521 come Turris Clasina.

Il figlio di Ser Francesco della Carda è Muzio di Ser Francesco, canonico di San Ruffino fino al 1309, quando viene scomunicato e ridotto allo stato laicale dal Papa. Muzio ha possedimenti a Clasina ed ha tre figli: Pellola, Andrea e Carlo. Figlio di Carlo è Guglielmo al quale appartiene il palazzo fortificato “Guillelmi in Baylia Clasina” come compare in un documento del 1383.

Nel 1385 Guglielmo di Carlo, Signore di Assisi, che è stato cacciato dagli Assisani con l’aiuto dei Conti Nepis e dei perugini, si rifugia nel Castello di Torchiagina dal quale in seguito sarà ancora scacciato. 

Tra il XV e il XIX la Torre ebbe come feudatari i Ranieri, seguiti dai Baldeschi, famiglia imparentata con i Baglioni. Nel 1460, in seguito ad una pestilenza, i Baldeschi abbandonano la Torre che viene subito occupata da Feltrano di Piobbico. Tre anni dopo nel 1463 Braccio Baglioni scaccia Feltrano e il Papa gliela concede in Feudo.

Nel 1495 Alessandro Fiumi la toglie ai Baglioni. Le due famiglie Baglioni e Fiumi continuano a contendersela finché l’ultimo discendente dei Brancaleoni, Paride di Galasso nel testamento del gennaio 1525 cede alle Famiglie Baglioni e Fiumi in parti uguali i suoi diritti in Torre Clasina per 600 Ducati ciascuna. Negli annuali Decenmvirali del 1521 appare per la prima volta il nome del paese Tor Chiagina scritto staccato.

La Torre come postazione strategica diviene avamposto di Assisi verso Perugia rimanendo sempre al centro di violenti scontri armati.

 

Durante uno degli ultimi scontri, nel 1540, si consumò anche una vicenda d’amore, conclusa in tragedia. Il conte Braccio II di Grifonetto Baglioni, per sottrarla ai corteggiamenti di corte, aveva relegato nella torre sua moglie affidandone la custodia al genero, Annibale Baldeschi, che aveva sposato una sua figliola naturale. Braccio Baglioni una notte, avendoli sorpresi a letto insieme, uccide nel letto stesso il genero e condotta la moglie a Perugia, la fa decapitare nella piazza chiamata oggi “IV Novembre”, all’indomani assieme a Cesare, fratello di Annibale, perché sospettato di aver favorito la tresca. Pochi mesi dopo i Baglioni cedono la Torre ai Conti Fiumi in occasione del matrimonio tra Cesare Fiumi e un’altra figlia naturale di Braccio Baglioni. Il tre Ottobre dello stesso anno, il matrimonio viene celebrato nella Torre ma durante i festeggiamenti il pavimento della sala, gravato dal peso dei troppi invitati, cede e finiscono tutti contusi al piano di sotto, compreso lo sposo.

Nel 1542 Paolo III vince la guerra del Sale contro i Perugini e toglie tutti i privilegi ai Comuni e ai feudatari.

Nel 1571 la località fu elevata a contea e concessa alla famiglia dei Bindangoli, originari di Bergamo, i quali vi issarono il proprio stemma. Nel 1579 Torchiagina ospitò il cardinale Carlo Borromeo rettore del ducato di Spoleto, giunto con il preciso scopo di porre fine ad alcuni dissidi tra le varie frazioni di Assisi. Successivamente il castello passò alla famiglia Fiumi di Roncalli di Assisi, sino alla metà del XVIII secolo.

I Conti Fiumi mantennero il possesso della Torre fino al 1700 ma nel frattempo persero parte dei terreni che andarono a far parte di una “Grancia” benedettina dell’abbazia di San Pietro di Perugia.

Con la morte dell’ultimo Fiumi, avvenuta nel 1729, nella torre subentra la Famiglia Bindangoli, commercianti bergamaschi. Giacomo Bindangoli, capitano della cavalleria pontificia, ottiene nel 1751 il titolo di Conte di Chiagina.

Nel 1759 troviamo i due cognomi Bindangoli e Bini associati in un documento catastale, in merito ad una proprietà del Sor Conte Paolo Bindangoli – Bini dove è inclusa la Torre di Chiagina con l’argine, costruito dalla famiglia, per poter salvare dalle inondazioni il terreno coltivato sulla riva destra del Chiascio, all’interno dell’ansa.

I fratelli Lorenzo e Giuseppe Bindangoli ottengono nel 1764 da Benedetto XIV il permesso di fare una fiera nella Torre nei giorni 27 e 28 agosto di ogni anno.

Agnese Bindangoli sposa un Bartocci e in seguito al crollo finanziario dei Bindangoli, come proprietari della torre, subentrano i Bartocci.

Storia attuale

Dopo i Bindangoli-Bini-Bartocci la Torre passa alla famiglia Pascoletti di Perugia che nel 1933 esegue alcune opere di consolidamento dell’edificio, applicandovi 4 tiranti, rimuovendo il tetto fatiscente e ricoprendola a terrazza. Dal 1976 al 1992 la torre passa di proprietà in proprietà tra diversi imprenditori del territorio fin quando, ormai fatiscente, viene acquistata dall’associazione di volontariato Alveare che la restaura per destinarla ad attività socio-riabilitative e socio-culturali.

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